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SI CHIAMA CONNERY, SEAN CONNERY E COMPIE 90 ANNI

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Dai lavori più improbabili alle pellicole iconiche

Si chiama Connery, Sean Connery e dal 1962, il suo nome, è indissolubilmente legato all’agente segreto più famoso non solo della storia del cinema ma anche della letteratura internazionale. Se non fosse stato per il genio creativo dello scrittore e giornalista, Ian Fleming, chissà se la sua carriera avrebbe avuto lo stesso risalto che poi effettivamente ha ottenne?

La risposta non può che essere positiva. In fondo quando il talento è puro, vero, spontaneo non serve solo per un ruolo in particolare. Appare difficile rimanere fuori dai più grandi progetti hollywoodiani. Nato a Edimburgo, in Scozia, il 25 agosto del 1930 Sean Connery in queste ore festeggia i suoi 90 anni.

Sullo schermo ha sempre rappresentato l’immagine dell’uomo forte, duro e affascinante. Tant’è vero che negli anni più invecchiava e più attirava donne di tutte le età. Il suo esordio è datato 1951, in uno dei tanti teatri inglesi. Due anni più tardi partecipò addirittura a Mister Universo, arrivando terzo. Finalmente arrivarono i primi ruoli, non di prim’ordine, ma significativi per la sua carriera; fino a quando non giunse l’anno 1962 quando uscì il primo James Bond: ‘Agente 007 – Licenza di uccidere’. E da quel momento non si è più fermato e nemmeno la saga.

Per tutti il decennio 1960 Sean Connery divenne subito un attore di fama internazionale grazie a quel ruolo, ma già nell’immediato provo a staccarsi dalla creatura di Fleming che rischiava di etichettarlo a vita. Ci provò con ‘Marnie’ nel 1964. Ma è nel decennio successivo che incomincia ad ottenere altri ruoli più rilevanti, come in ‘Robin & Marian’, ‘L’assassinio sull’Oriente Express’, ‘Il vento e il leone’.

In quello stesso decennio, nel 1971 per l’esattezza, prese parte per l’ultima volta al film di 007, per poi riprenderlo in un lungometraggio non ufficiale nel 1983 dall’iconico titolo ‘Mai dire mai’. E proprio nei mitici anni ’80 che il caro Sean ci regala altre monumentali performances, ricoprendo ruoli altrettanto iconici. Si parte dal 1986 e quell’anno fu addirittura una doppietta.

Ancora una volta è di nuovo il mondo letterario che gli permette di valorizzarlo ancor di più sul grande schermo. Tratto dall’omonimo romanzo di Umberto Eco, diventa un frate investigatore in un’abbazia dove avvengono strani delitti. Il film è ‘Il Nome della Rosa’. Sempre nello stesso anno diventa un maestro d’armi spagnolo del quindicesimo secolo, di nome Ramirez, con la missione di preparare all’adunanza l’ultimo immortale, nel film ‘Highlander’.

Nel 1987 entra a far parte del cast di un’altra iconica opera cinematografica, non solo del decennio 1980. Nei panni del poliziotto Jimmy Malone, ne ‘Gli Intoccabili’, offre al pubblico anche la sua scena più tragica cha abbia mai interpretato in carriera. Due anni più tardi recita al fianco di Harrison Ford nel terzo capitolo della saga di ‘Indiana Jones’, nel ruolo del padre dall’archeologo più famoso della settima arte.

Si arriva dunque agli anni ’90. Più gli offrono film importanti e più la sua stella non tramonta. Da ‘Sol Levante’ a ‘The Rock’, da ‘Caccia a Ottobre Rosso’ a ‘Mato Grosso’, da ‘Il Primo Cavaliere’ alla super partecipazione per una sola scena in ‘Robin Hood – Principe dei Ladri’; fino ad arrivare agli ultimi quattro lungometraggi a cavallo della fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio: ‘The Avengers – Agenti Speciali’, ‘Entrapment’, ‘Scoprendo Forrester’ e ‘La leggenda degli uomini straordinari’.

In definitiva la sua stella non è mai tramontata. Dopo l’ultimo titolo citato, uscito nel 2003, Sean Connery decise di ritirarsi per sempre dal cinema. Aveva intuito che purtroppo il suo tempo era di conseguenza passato e, quasi sicuramente, non voleva rovinare la sua immagine e quindi la sua carriera con qualche prestazione deludente che avrebbe attirato feroci critiche.

Di certo al cinema di oggi un personaggio come lui manca e anche molto. La sua personalità, il suo fascino, il suo modo di recitare quasi alle volte con fare quasi burbero, ha fatto di lui un mito inossidabile al pari di altri suoi due colleghi nati nel suo stesso anno: Gene Hackman e Clint Eastwood. E pensare che prima del travolgente successo, prima di James Bond, prima di calcare i palcoscenici inglesi svolse i lavori più disparati come lavapiatti, bagnino e addirittura il verniciatore di bare.

Senza dimenticare la sua esperienza nella marina militare inglese, ulteriore elemento che indica la sua forte personalità davanti alla macchina da presa. Fa strano, dunque, anche pensare che uno come lui ottenne solamente un Oscar, nell’edizione del 1988, proprio per il ruolo di Jimmy Malone ne ‘Gli Intoccabili’. Peccato, perché uno come lui ne meritava molti, ma molti di più. Auguri, Mister Connery.

Storie Vere

Frost vs Nixon

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Lo scorso 17 giugno proprio con la rubrica ‘Storie vere’ ci siamo occupati, grazie al film interpretato da Dustin Hoffman e Robert Redford, dello scandalo ‘Watergate’ dal titolo ‘Tutti gli uomini del Presidente’, in cui venivano ricostruite le fasi dell’inchiesta giornalistica condotta dai reali cronisti del ‘Washington Post’ Carl Bernstein e Bob Woodward. Quelle indagini portarono alla scoperta dell’illecito posto in essere dall’allora Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon. Era la notte del 17 giugno del 1972, quando quattro uomini del partito repubblicano entrarono in una delle sedi del partito democratico, il complesso Watergate appunto.

Nixon, travolto dallo scandalo, tra l’8 ed il 9 agosto del 1974 prima annunciò le sue dimissioni e poi le rese effettive il giorno seguente. Dal momento che il 37° Presidente degli Stati Uniti lasciò la Casa Bianca a bordo dell’elicottero presidenziale iniziò un’altra storia. Proprio da questo momento si apre un altro film dedicato a questa ulteriore pagina della vicenda.

Una sorta di continuazione del film del 1976, in cui un anonimo showman si ritrovò ad intervistare Nixon con l’intenzione di fargli ammettere le proprie responsabilità davanti alla nazione, visto che non aveva subito un processo grazie al perdono presidenziale da parte del suo successore: Gerald Ford.

Scritto da Peter Morgan e diretto da Ron Howard ‘Frost vs Nixon’, uscito il 5 dicembre del 2008, ricostruisce le altrettante fasi che portarono il conduttore televisivo, David Frost, alla doppia impresa di avvicinare Nixon e di metterlo alle strette davanti al popolo americano.

In realtà questa incredibile storia vera ha persino ispirato una piece teatrale, omonima del film, e sempre scritta da Peter Morgan. Interpretato da un brillante Micheal Sheen, nei panni di Frost, e da un superlativo Frank Langella, nei panni di Nixon, il film porta a galla diverse sfaccettature dell’evento attraverso il dialogo a tratti serrato e di come lo stesso potere, nelle mani di una sola persona, possa far sembrare tutto più facile e tutto possibile, provocando irrimediabili sensi di colpa che diventano come un pesante fardello negli ultimi anni dell’esistenza.

Con ciò non si vuol sostenere che in ‘Frost vs Nixon’, con taglio prettamente drammatico e con una punta d’ironia malinconica, si cerchi di assolvere colui che macchiò anche l’immagine non solo sua propria personale, ma anche la carica stessa di Presidente. Facendo perdere ulteriore fiducia in chi magari, nonostante tutto, fino a quel momento credeva ancora nella politica.

Più che parlare di assoluzione totale, magari è più giusto affermare di rendere ‘giustizia’ all’uomo Nixon più da un punto di vista morale. Cercando, quasi, di fare pace con quel periodo della storia mai dimenticata. Frank Langella per la sua prestazione otterrà, alla notte degli Oscar del 2009, la candidatura come migliore attore protagonista; le altre candidature conquistate furono: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior montaggio. Da segnalare anche l’ottima prova di Kevin Bacon, nel ruolo del collaboratore fidato di Richard Nixon, Jack Brennan.

‘Frost vs Nixon’ È una pagina di storia prettamente americana e che non viene svilita da qualche possibile licenza poetica nella sceneggiatura. Anzi è valorizzata con la semplice forza di ricordare eventi che non possono essere dimenticati.

Storie Vere

Fuga per la vittoria

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Alle volte succede che tante storie si concentrano in una sola, fondendosi in qualcosa di unico. Un qualcosa che ha il sapor di leggenda non solo squisitamente ed esclusivamente cinematografica, ma che travalica l’immaginazione per assumere ancor più valor attraverso racconti realmente accaduti. Eventi poco conosciuti ma che una volta resi noti, anche grazie ad opere cinematografiche, ti fanno domandare se quello che hai letto, visto o comunque sentito appartiene, prima, alla sfera del reale per, poi, venir cristallizzato attraverso la sublime magia della settima arte sul grande schermo.

Era il 7 luglio del 1981 quando nelle sale americane approdò una di quelle pellicole entrate inevitabilmente nella storia del cinema, ispirata ad un episodio relativo ai tempi della Seconda Guerra Mondiale; una sfida che si consumò non nei cieli o per mare o per battaglia su terra, ma su un campo di calcio. Il particolare match si giocò, realmente, il 9 agosto del 1942 e vide opposte due squadre composte dall’esercito tedesco e l’altra da soli giocatori ucraini. L’episodio è conosciuto come ‘La Partita della morte’ ed è stata riportata nel corso degli anni attraverso due differenti versioni. Il film è, in lingua originale, ‘Victory’, in italiano, ‘Fuga per la vittoria’.

Diretto dal maestro John Houston e accompagnato dalle indimenticabili e trionfali musiche composte da Bill Conti, il film è una rilettura romanzata di ciò che avvenne in quel giorno di agosto di tre anni prima che il secondo conflitto terminasse. Il cast di attori presenti è, a sua volta, da sogno e non solo per l’epoca. Mescolare pezzi grossi di Hollywood con i veri fuoriclasse del mondo del calcio di sicuro non capita tutti i giorni.

Ecco la formazione: Silvester Stallone, Paul Van Himst, Micheal Caine, Co Prins, Russel Osman, Bobby Moore, John Wark, Osvaldo Ardiles, Mike Summersbe, Edson Arantes Do Nascimento Pelé e Soren Linsted. Pelé a parte è normale che i giovani non si possono ricordare degli straordinari calciatori che parteciparono a questa insolita avventura davanti alla macchina da presa.

Una storia, come detto in apertura, che è andata oltre sia la storia vera sia oltre al rettangolo di gioco. Fondata essenzialmente sulla sfida al limite dell’impossibile, quindi un film indirettamente motivazionale, sulla voglia insopprimibile di libertà e di raggiungerla ugualmente anche nel modo più improbabile possibile.

Appare naturale, oltre che sottinteso, che tutta la trama, tutta la storia scritta da più mani, è un’unica attesa crescente dall’inizio fino al momento culminante: la partita. Il lavoro di Houston è epico per l’abilità, la maestria e la saggezza con cui affronta la trama; senza mai far annoiare lo spettatore. L’elemento dominante sembra non essere la partita in sé nella sua essenza, semmai la fuga e l’organizzazione medesima e le modalità che i prigionieri invento per portarla a termine.

Quando la due squadre si affrontano l’adrenalina per la silenziosa e crescente attesa è entrata definitivamente in circolo, con un dubbio furbamente instillato in chi guarda il film: gli alleati fuggiranno durante l’intervallo oppure rientreranno in campo? Il finale ormai si conosce ed è lì che le emozioni salgono ancor più di livello, miscelando l’orgoglio appunto per la sfida, l’orgoglio di non cedere e sperare che anche una partita di calcio, anche se è solo una partita, possa essere raddrizzata e quindi credere nell’impossibile. Con una reazione commovente ed eroica di Stallone, Ardiles, Pelé e Company.

Le inquadrature esaltano le gesta dei veri calciatori, come per esempio la doppia magia di Ardiles e quel gesto atletico, misto all’istinto del gioco e la tecnica sopraffina di Pelè. Certo, è un film. Ma Houston ci permette di farcelo ammirare una seconda volta, proprio come quando in una diretta televisiva si propone il replay di una vera azione di gioco.

Forse su questa spettacolare rovesciata ci rimanda ad un ulteriore fatto realmente accaduto, però durante le Olimpiadi del 1936: quando Jesse Owens, atleta statunitense, trionfò davanti agli occhi dei nazisti Hitler, presente sugli spalti, si alzò dal suo posto in tribuna e si allontanò indispettito. Nel film, invece, il gesto tecnico di Luis Fernandez, il personaggio interpretato da Pelé, suscita l’ammirazione, con tanto di applauso, del maggiore Von Stein, impersonato da Max Von Sydow, vagamente somigliante al dittatore nazista.

Invece la parata sul finale di Stallone, che manda in visibilio tutto lo stadio bloccando il risultato sul 4 a 4, rappresenta, molto probabilmente, di aver fermato non solo un pallone, ma, metaforicamente, gli stessi nazisti. La scena del coro sugli spalti stadio e l’intonazione dell’inno nazionale francese provoca ulteriori emozioni prima della battuta del penalty.

Il budget previsto era di 10 milioni di dollari. L’incasso totale ammontò a 27.453.418. milioni di dollari. Riuscì persino ad ottenere la candidatura al ‘Premio d’Oro’ al Festival Internazionale di Mosca. Magari quello era il primo segnale distensivo tra le due potenze dell’epoca?

Forse o forse no. Sta di fatto che ‘Fuga per la vittoria’ è uno di quei film irripetibili per stile, contenuto e soprattutto per l’epoca in cui è stato realizzato. I ricordi della Seconda Guerra Mondiale erano ancora vivi, le ferite le cicatrici facevano ancora più male di oggi. Per questo, quando nel marzo dell’anno scorso si è iniziato a parlare di remake la domanda, parafrasando Antonio Lubrano, come sarà? Sarà all’altezza dell’originale? E visto che nel 1981 i produttori ingaggiarono ‘O Rey’, sarebbe giusto scritturare ‘El Pibe de Oro’.

Bud&Terence

Chi trova un amico trova un tesoro

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I film di Bud Spencer e Terence Hill sono come delle avventure miscelate ad altri generi cinematografici, sempre dall’intento, implicito, di ridicolizzare la violenza nella sua essenza. Portata, alle volte, a livelli di cartoni animati. In questo appuntamento prima della pausa di Ferragosto analizziamo un film che assunse i contorni dell’avventura vera e propria, con i tipici elementi dell’isola deserta in mezzo al mare, che poi tanto deserta non è, ed un misterioso tesoro da trovare. Il titolo riprendeva un famoso detto popolare: ‘Chi trova un amico trova un tesoro’.

Girata in un’isola vicina alla contea di Miami Dade e con le atmosfere tipicamente estive dovrebbe indurre, come logica, a pensare che il film uscì durante nella calda stagione. In realtà no, la data di rilascio era il 22 dicembre del 1981. Quindi un’opera comica indirettamente estiva ma nel periodo natalizio. È pleonastico precisare che la coppia fece centro anche in quell’occasione.

Diretti questa volta da Sergio Corbucci, i due attori si ritrovano in una trama più volte ripetuta nella storia del cinema e apparsa nei classici romanzi del genere, con l’ennesima variante. In questo caso con la variante loro, quella personalizzata, quella rappresentata dai mitici ‘pugni e schiaffoni’. Sia il soggetto che la sceneggiatura sono opera di Mario Amendola e lo stesso regista. Invece la colonna sonora non è composta come al solito dagli Oliver Onions, ma dagli ‘The Fantastic Ocean’ con ‘Movin Cruisin’; con uno stile tropicale unito ancora al sound della discomusic ancora presente in quegli anni. A tratti un po’ malinconica. Specie quando i due protagonisti arrivano sull’isola.

In ‘Chi trova un amico trova un tesoro’ oltre alla trama, oltre alla location che fa sognare ad occhi aperti e oltre, come sempre, alle tradizionali divertenti scazzottate a rimanere impressi nella memoria di tutti i fans, e non solo, sono i due personaggi secondati di questo lungometraggio: il personaggio Anulu, impersonato da Sal Borgese,  il figlio ‘un po’ scemotto’ della Regina del posto paradisiaco e doppiato, quasi a sorpresa, da un Ferruccio Amendola che non ti aspetti ed un vecchio soldato giapponese, padre di Anulu, che non era a conoscenza del fatto che il secondo conflitto mondiale era terminato da quasi quaranta lunghi anni. Un personaggio ispirato ad una figura realmente esistita nella storia giapponese.

Ma i protagonisti solo loro, Bud e Terence, nei rispettivi ruoli di due persone totalmente differenti tra loro e che, per diversi motivi l’uno dell’altro, si ritrovano nell’isola deserta con l’intenzione di trovare un misterioso tesoro nascosto. Insieme affronteranno pirati, malviventi e difenderanno per più di una volta la pacifica popolazione presente nel posto bagnato dall’oceano. In definitiva il vero tesoro lo trovano per poi perderlo. Lo recuperano non in senso materiale ma attraverso il sentimento dell’amicizia, con tanto di interrogativo posto ironicamente nel finale e che richiama, direttamente, il titolo del film.

‘Chi trova un amico trova un tesoro’ è stato il loro dodicesimo film girato insieme. Molto probabilmente quello più avventuroso ma altrettanto divertente come la maggior parte dei loro movies proposti sul grande schermo e, si può dire ancora, visti e rivisti senza alcuna stanchezza nei singoli passaggi televisivi in tutti questi anni. Un film divertente, un classico della coppia da vedere e rivedere perché un certo tipo di comicità non tramonterà mai. Proprio come i loro film.

LA RUBRICA ‘BUD&TERENCE’ RITORNERA’ tra il 24 ed il 30 agosto.

Sequels & Saghe

THE EQUALIZER 2

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Si è sempre sostenuto che il primo capitolo non si tocca. Rimane incastonato, nel tempo, nel limbo della perfezione rispetto agli altri episodi prodotti in seguito. Il motivo è semplice ed è da ricercare nella sussistenza di tre elementi fondamentali: la novità, l’originalità e l’idea di base che porta a realizzare, se non un capolavoro, almeno un ottimo film. Quando giunge il momento del seguito il discorso cambia. Un tempo non esisteva la ‘progettazione’ che c’è oggi. Una volta realizzato un film di successo su un determinato personaggio era difficile bissarlo con il secondo capitolo, solo perché il seguito doveva essere realizzato e basta. Perché si doveva incassare quanto speso.

Oggi invece i sequels o comunque le saghe sono già studiate a tavolino o quasi. Ciò vale anche per il secondo capitolo di ‘The Equalizer’ accompagnato con il sottotitolo: ‘Senza Perdono’. Il discorso introduttivo, dunque, vale anche per questo secondo capitolo del capostipite uscito nel 2014 e che, quasi sicuramente, determinerà la realizzazione di un terzo episodio cinematografico.

Era il 20 luglio del 2018 e diretto sempre da Antoine Fuqua, quando la seconda pellicola ispirata dall’omonima serie tv degli anni ‘80 approdò sui grandi schermi americani. Nel ruolo che fu di Richard Woodward troviamo sempre lo straordinario Denzel Washington, con il cast in parte rinnovato. Ritroviamo, comunque, Bill Pullman e Melissa Leo nel ruolo non solo degli unici amici di Robert McCall, ma anche delle uniche persone che sanno della sua esistenza, ed è proprio su questo che si fonda la nuova trama scritta, sempre, dallo sceneggiatore Richard Wenk.

Robert McCall vive sempre a Boston e questa volta lavora come autista privato e nel frattempo aiuta le persone. Un giorno capisce che il passato torna a fargli visita quando la sua collega ai tempi della Cia, nonché migliore sua amica, viene brutalmente assassinata. Senza pensarci due volte decide di indagare su quanto le è accaduto. Questa volta la sceneggiatura punta ancor di più sull’action, senza togliere spazio al thriller ben radicato in questa nuovissima versione.

Non annoia, tiene incollati fino alla fine come il primo capitolo e senza qualche esagerazione che rischierebbe di stonare all’interno della trama. Eppure ‘The Equalizer 2’ non sembra convincere quanto l’episodio inaugurale. Non è un caso, forse, l’unica candidatura ottenuta come miglior film d’azione al ‘People’s choice Awards’ dello stesso anno è la prova che questa volta lo schema ha funzionato in maniera meno convincente. È vero abbiamo detto prima ‘nessuna esagerazione di sorta’, molto probabilmente optare troppo sull’action ha lievemente nuociuto al progetto. E con il terzo come andrà? Non ci resta che attendere per avere la risposta.

LA RUBRICA SAGHE E SEQUELS TORNERA’ NELL’ULTIMA SETTIMANA DI AGOSTO: QUELLA DAL 24 AL 30 AGOSTO.

News

Wonder Woman 1984

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Ne avevamo già parlato lo scorso dicembre, in occasione dello ‘Special Christmas 2019’, annunciando che inizialmente il film sarebbe dovuto uscire lo scorso mese di giugno. Il giorno 20 per l’esattezza. Causa pandemia anche ‘Wonder Woman 1984’ ha dovuto subire il forzato rinvio. I distributori hanno optato ufficialmente per il prossimo 2 ottobre 2020. Sembrerebbe questo, dunque, il giorno in cui ‘La regina delle Amazzoni’ dovrebbe far ritorno sul grande schermo, per il suo secondo film stand – alone. Diciamo quarto dopo, l’esordio in ‘Batman vs Superman’ del 2016, il primo film dedicato interamente a lei l’anno seguente e nella ‘Justice League’ del 2018.

Nel costume della supereroina troviamo nuovamente, e come giusto che sia, l’affascinante attrice israeliana Gal Gadot. In cabina di regia c’è sempre Patty Jenkins e nel cast si registra il misterioso ritorno di Chris Pine, affiancato da Pedro Pascal e Kristen Wiig nei panni degli antagonisti. Presente anche Robin Wright. La stessa regista ha inoltre reso noto la durata del film: 2 ore e 42 minuti. Ciò si deduce che la trama sarà abbastanza corposa, oltre ai classici effetti speciali e l’action che sono elementi d’obbligo in queste occasioni cinematografiche.

Da quando il trailer venne rilasciato a dicembre si è subito ammesso che la Dc Comics aveva finalmente alzato l’asticella nel confronto con la Marvel Cinematic Universe. Questa volta funzionerà? Dal quello che si vede nel trailer parrebbe proprio di sì. Il breve filmato è accompagnato da un elettrizzante, potente e coinvolgente brano degli anni ’80 ‘Blue Monday’, del gruppo musicale ‘New Order, con un montaggio da premio Oscar. La hit è proprio dell’anno in cui il sequel è ambientato. Un secondo capitolo che si prospetta scoppiettante e, forse, riuscirà a superare il primo episodio del 2017; forse sì o forse no. Ma questo blog prova ad azzardare una previsione: sbancherà ai botteghini di tutto il mondo.

Ecco a voi il trailer:

Film&Libri

LE ALI DELLA LIBERTA’

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Che vita sarebbe senza la speranza? Che vita sarebbe senza credere ed aggrapparsi a quel semplice ma forte pensiero quando il mondo ci crolla addosso e che, nonostante tutto, ti instilla la voglia di liberarsi da situazioni brutte?  Di certo bisognerebbe credere con tutte le nostre forze alla speranza per sentire il profumo di libertà dentro di noi. Filosofia di vita o aspetto puramente psicologico a parte, sta di fatto che il 23 settembre del 1994, per la regia di Frank Darabont, usciva nelle sale cinematografiche americane una delle migliori trasposizioni sul grande schermo mai realizzate dai romanzi di Stephen King: Le ali della libertà.

Tratto dal racconto ‘Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank’, compreso nella raccolta del 1982 ‘Stagioni diverse’, il film, con sceneggiatura dello stesso regista, ci invita a non perdere mai la speranza per nessuna ragione al mondo. Interpretato magistralmente da Tim Robbins e Morgan Freeman, ‘Le ali della libertà’, non è la classica storia misteriosa con il quale ‘Il Re del Brivido’ ci ha sempre abituati, e che ha anche sviluppato il soggetto, e nemmeno bisogna definire l’opera come il solito dramma carcerario ma come una semplice storia di vita dietro le sbarre.

L’unico alone di mistero, però, aleggia sul protagonista che non si sa se effettivamente risulti veramente colpevole per il reato al quale è stato condannato o, forse, è vittima di un clamoroso errore giudiziario. Le due ore e ventidue minuti tengono incollati fino alla fine, ci si affeziona ai personaggi addirittura e lascia ricco di animo e di speranza, appunto, fino ai titoli di coda.

Abbiamo affermato che questo è la miglior trasposizione sul grande schermo di un’opera letteraria di Stephen King. Oltre all’incasso dell’epoca, 28.341.499 milioni di dollari solo sul mercato statunitense, la prova del successo è anche nelle sette candidature alla Notte degli Oscar del 1995. Di certo si tratta di una storia totalmente differente a quelle che ci ha sempre abituato l’autore di romanzi come ‘It’, ‘Chstine – La macchina infernale’ e tanti altri; ma così si è riusciti a scoprire un lato dello scrittore ancora mai esplorato dai lettori.

“Le ali della libertà” è uno di quei film motivazionali che lasciano un segno, un messaggio e non solo diretto; è una storia di speranza, di libertà, e di amicizia, quella vera. Quella che non si trova tutti i giorni. Una storia sorprendente e che, nei momenti bui di ognuno di noi, deve essere vista e rivista per continuare a coltivare la speranza e la libertà.

Bud&Terence

Non c’è due senza quattro

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Dopo i quattro appuntamenti dedicati alla saga del Commissario Rizzo, finalmente si ricostituisce la coppia nel nostro blog. Il film scelto è uno degli ultimi che girarono insieme ed è quasi sicuramente, per non dire solo sicuramente, uno dei più divertenti. Era il 21 ottobre del 1984 quando Bud Spencer e Terence Hill osarono addirittura sdoppiarsi sul grande schermo facendo il verso ad un famoso detto popolare: non c’è due senza tre che divenne ‘Non c’è due senza quattro’.

La trama nella sua essenza è molto semplice: due uomini, un sassofonista galeotto ed uno stuntman, prendono il posto di due miliardari minacciati a morte da alcune persone misteriose. I due uomini sono sosia dei due miliardari, a sua volta, quindi, la trama oltre ad essere semplice è anche molto comica, con uno schema collaudato non tanto dal 1967, anno del loro primo ed iconico film, ma dal 1970 con il primo su ‘Trinità’.

Di certo il successo fu per l’ennesima volta assicurato più che con la sceneggiatura, con le divertentissime scazzottate e basate anche in alcuni momenti sulla commedia degli equivoci. Il film, con il tempo, è diventato anche un cult e venne girato quasi nella sua totalità a Rio De Janeiro. Per alcuni addetti ai lavori questa pellicola è quella più debole rispetto alle altre, con ulteriori ripetizioni di troppo legate ai soliti schemi proposti nel corso degli anni.

In realtà, ‘Non c’è due senza quattro’, è il lungometraggio numero 14 dei due e l’unica cosa che si nota è il fatto che gli anni incominciarono a passare anche per loro. Quasi sicuramente più per Bud che all’epoca viaggiava verso i 55 anni, mentre Terence sulle 45 primavere.

Comunque ‘Non c’è due senza quattro’ non il più debole degli altri, anzi, è un’autentica esplosione non solo di pugni e schiaffoni ma di gioia e di divertimento allo stato puro; con la classica e semplice missione di strappare più di una risata. La doppia coppia funziona grazie allo stravolgimento dei classici personaggi a cui siamo sempre stati abituati a vedere.

Lo script venne sviluppato, così come anche il soggetto, da Marco Tullio Barboni, figlio del regista Enzo Barboni meglio conosciuto come E. B. Clucher. Accanto a Bud e Terence, nel cast, troviamo attori come April Clough, Nello Pazzafini nel ruolo di ‘Tango’ e Harold Bergman.

Questo ennesimo successo spinse i produttori ad unire la coppia per altri due film. La prossima settimana, prima della pausa di Ferragosto, ancora un altro appuntamento con ‘Bud&Terence’. Per adesso godetevi questa divertentissima rissa e la mitica battuta di Terence Hill.

Sequels & Saghe

The Equalizer – Il vendicatore

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Diciamo la verità le saghe cinematografiche sono un po’ come le ‘serie tv’ sul grande schermo, solo che sono pochissimi i franchises che durano più di due o tre film. Altri giungono addirittura a quattro episodi, come abbiamo visto la settimana scorsa, altri ancora invece raggiungono un numero talmente elevato di ‘puntate’ di cui nel tempo si perde la memoria oltre che la qualità. Usare ‘le serie tv’ come forma di paragone ci permette anche di introdurre la nuova serie di appuntamenti della rubrica che a partire da oggi ci terranno compagnia fino alla prossima settimana; partendo da una domanda molto semplice: ma il franchise di ‘The Equalizer’ fino a che numero di episodio arriverà? Per il momento è ampiamente confermato la lavorazione del film numero tre di questa saga inaugurata nel 2014. E

Esattamente il 26 settembre del 2014. Quando nei cinema uscì il primo capitolo con il titolo ‘The Equalizer – Il vendicatore’. Ispirato all’omonima serie televisiva, andata in onda tra il 1985 ed il 1989 e conosciuta in Italia con il titolo ‘Un giustiziere a New York’, nel ruolo principale, che fu di Edward Woodward, troviamo un Denzel Washington in grande spolvero. Diretto dal regista Antoine Fuqua e scritto da Richard Wenk, il film si distacca leggermente dal triplice genere della serie tv: azione, spionaggio e poliziesco; per un perfetto ibrido di azione e thriller.

In questo primo episodio il protagonista, Robert McCall, ha finto di morire in una esplosione e si è ritirato a vita privata nella pacifica Boston, sotto falso nome, svolgendo la mansione di commesso in un grande magazzino. Non ha ancora, come nella serie tv, pubblicato un annuncio in cui si dichiara disponibile ad aiutare chiunque si trovi in difficoltà. La sceneggiatura, quindi, è un reboot sul grande schermo ed in grande stile, in cui Robert McCall si ritrova ad aiutare una giovane prostituta minacciata dall’intera mafia russa.

Il risultato è un mero intrattenimento da gustare dall’inizio alla fine. ‘The Equalizer’ in tutto il 2015 ha ottenuto diverse candidature come miglior thriller preferito dal pubblico al ‘People’s choice awards’, due candidature al Saturn Awards, sempre per il miglior thriller e come attrice emergente Chloe Grace Moretz, una candidatura al Black Reel Awards per Denzel Washington e ben tre candidature alla Naacp Image Award tra cui il premio alla miglior regia ad Antoine Fuqua.

Un primissimo episodio vincente e che non tradisce l’idea originale della trama; valorizzando oltremodo ancora di più il personaggio ancor di più il personaggio. Riuscendo nell’impresa di svecchiare un eroe anni ’80, forse troppo poco conosciuto per essere un’ulteriore icona di quel periodo, ed attualizzarlo ai giorni nostri. La prossima settimana il seguito.

Storie Vere

L’omaggio della tv a Rocco Chinnici

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Come ormai avete ben intuito in questi due mesi con la rubrica ‘Storie Vere’ vengono affrontati fatti o avvenimenti forti, tragici, storici, cruenti e amari. Anche in questo appuntamento si ritorna nella tanto affascinante isola siciliana con la sua tragica storia, in cui vengono narrati il coraggio e il doppio senso di giustizia e di Stato di uomini valorosi come quelli dell’Anti-mafia. Dopo il 23 maggio del 1992, con il quale abbiamo riavviato la rubrica, e il 19 luglio del 1992 ritorniamo indietro nel tempo di ben nove anni: il 29 luglio del 1983, quando venne barbaramente assassinato il Consigliere dell’Ufficio Istruzione Rocco Chinnici.

Alla sua figura, al suo impegno ed al suo sacrificio, non gli è stato dedicato un film direttamente sul grande schermo, né una miniserie e nemmeno una serie televisiva; ma un’opera sul piccolo schermo, andata in onda per la prima volta il 23 gennaio di due anni fa, intitolata: ‘Rocco Chinnici – E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte’, a sua volta ispirato liberamente dal libro scritto dalla figlia del magistrato ucciso dalla mafia: Caterina Chinnici.

Ad interpretare il padre putativo del leggendario Pool Antimafia troviamo il bravissimo Sergio Castellitto, non nuovo a ruoli impegnativi. Già acclamato dalla critica e dal pubblico per le performance nei panni di ‘Enzo Ferrari’ e ‘Padre Pio’ nelle omonime fictions. A dirigere il film è il regista Michele Soavi e prodotto da Luca Barbareschi, mentre sia il soggetto che la sceneggiatura sono state realizzate da Franco Bernini e Maura Nuccettelli.

Il lungometraggio televisivo è un lungo ricordo suddiviso in vari momenti sparsi, ma con un filo logico, lineare che non crea confusione. Un ricordo vissuto attraverso la testimonianza e gli occhi della figlia Caterina, che come si vede nel film, anche nella realtà prenderà le orme del padre e che, inoltre, fa entrare quasi in punta di piedi lo spettatore nella vita professionale e privata di un personaggio storico senza alcuna esasperazione di sorta.

Quando il film per la tv venne annunciato, durante l’intervista di presentazione, l’attore Sergio Castellitto affermò che ‘molte volte, nel riportare in vita, questi carismatici ed iconici personaggi storici, si tiene solamente conto del ruolo che essi hanno, occupano e che rappresentano per la società; dimenticando l’uomo nella sua essenza. Rocco Chinnici, sempre l’attore romano, è l’amico, il padre, il giardiniere che si incontrano ogni giorno’.

Infatti questo lato, questa particolarità non solo non viene tralasciata dalla sceneggiatura, ma nemmeno tende a schiacciare il lato professionale: come le indagini e le minacce anonime che iniziavano ad assillarlo nell’ultima parte della sua vita. L’attentato del 1983 apre e chiude il film, ma non viene ripetuto per due volte; viene interrotto al momento dell’esplosione, rimanendo sospeso in quell’attimo terribile fuggente in cui c’è tutta una vita da ricordare, da contemplare per un esempio di senso civico che non verrà mai dimenticato.