Alle volte succede che tante storie si concentrano in una sola, fondendosi in qualcosa di unico. Un qualcosa che ha il sapor di leggenda non solo squisitamente ed esclusivamente cinematografica, ma che travalica l’immaginazione per assumere ancor più valor attraverso racconti realmente accaduti. Eventi poco conosciuti ma che una volta resi noti, anche grazie ad opere cinematografiche, ti fanno domandare se quello che hai letto, visto o comunque sentito appartiene, prima, alla sfera del reale per, poi, venir cristallizzato attraverso la sublime magia della settima arte sul grande schermo.
Era il 7 luglio del 1981 quando nelle sale americane approdò una di quelle pellicole entrate inevitabilmente nella storia del cinema, ispirata ad un episodio relativo ai tempi della Seconda Guerra Mondiale; una sfida che si consumò non nei cieli o per mare o per battaglia su terra, ma su un campo di calcio. Il particolare match si giocò, realmente, il 9 agosto del 1942 e vide opposte due squadre composte dall’esercito tedesco e l’altra da soli giocatori ucraini. L’episodio è conosciuto come ‘La Partita della morte’ ed è stata riportata nel corso degli anni attraverso due differenti versioni. Il film è, in lingua originale, ‘Victory’, in italiano, ‘Fuga per la vittoria’.
Diretto dal maestro John Houston e accompagnato dalle indimenticabili e trionfali musiche composte da Bill Conti, il film è una rilettura romanzata di ciò che avvenne in quel giorno di agosto di tre anni prima che il secondo conflitto terminasse. Il cast di attori presenti è, a sua volta, da sogno e non solo per l’epoca. Mescolare pezzi grossi di Hollywood con i veri fuoriclasse del mondo del calcio di sicuro non capita tutti i giorni.
Ecco la formazione: Silvester Stallone, Paul Van Himst, Micheal Caine, Co Prins, Russel Osman, Bobby Moore, John Wark, Osvaldo Ardiles, Mike Summersbe, Edson Arantes Do Nascimento Pelé e Soren Linsted. Pelé a parte è normale che i giovani non si possono ricordare degli straordinari calciatori che parteciparono a questa insolita avventura davanti alla macchina da presa.
Una storia, come detto in apertura, che è andata oltre sia la storia vera sia oltre al rettangolo di gioco. Fondata essenzialmente sulla sfida al limite dell’impossibile, quindi un film indirettamente motivazionale, sulla voglia insopprimibile di libertà e di raggiungerla ugualmente anche nel modo più improbabile possibile.
Appare naturale, oltre che sottinteso, che tutta la trama, tutta la storia scritta da più mani, è un’unica attesa crescente dall’inizio fino al momento culminante: la partita. Il lavoro di Houston è epico per l’abilità, la maestria e la saggezza con cui affronta la trama; senza mai far annoiare lo spettatore. L’elemento dominante sembra non essere la partita in sé nella sua essenza, semmai la fuga e l’organizzazione medesima e le modalità che i prigionieri invento per portarla a termine.
Quando la due squadre si affrontano l’adrenalina per la silenziosa e crescente attesa è entrata definitivamente in circolo, con un dubbio furbamente instillato in chi guarda il film: gli alleati fuggiranno durante l’intervallo oppure rientreranno in campo? Il finale ormai si conosce ed è lì che le emozioni salgono ancor più di livello, miscelando l’orgoglio appunto per la sfida, l’orgoglio di non cedere e sperare che anche una partita di calcio, anche se è solo una partita, possa essere raddrizzata e quindi credere nell’impossibile. Con una reazione commovente ed eroica di Stallone, Ardiles, Pelé e Company.
Le inquadrature esaltano le gesta dei veri calciatori, come per esempio la doppia magia di Ardiles e quel gesto atletico, misto all’istinto del gioco e la tecnica sopraffina di Pelè. Certo, è un film. Ma Houston ci permette di farcelo ammirare una seconda volta, proprio come quando in una diretta televisiva si propone il replay di una vera azione di gioco.
Forse su questa spettacolare rovesciata ci rimanda ad un ulteriore fatto realmente accaduto, però durante le Olimpiadi del 1936: quando Jesse Owens, atleta statunitense, trionfò davanti agli occhi dei nazisti Hitler, presente sugli spalti, si alzò dal suo posto in tribuna e si allontanò indispettito. Nel film, invece, il gesto tecnico di Luis Fernandez, il personaggio interpretato da Pelé, suscita l’ammirazione, con tanto di applauso, del maggiore Von Stein, impersonato da Max Von Sydow, vagamente somigliante al dittatore nazista.
Invece la parata sul finale di Stallone, che manda in visibilio tutto lo stadio bloccando il risultato sul 4 a 4, rappresenta, molto probabilmente, di aver fermato non solo un pallone, ma, metaforicamente, gli stessi nazisti. La scena del coro sugli spalti stadio e l’intonazione dell’inno nazionale francese provoca ulteriori emozioni prima della battuta del penalty.
Il budget previsto era di 10 milioni di dollari. L’incasso totale ammontò a 27.453.418. milioni di dollari. Riuscì persino ad ottenere la candidatura al ‘Premio d’Oro’ al Festival Internazionale di Mosca. Magari quello era il primo segnale distensivo tra le due potenze dell’epoca?
Forse o forse no. Sta di fatto che ‘Fuga per la vittoria’ è uno di quei film irripetibili per stile, contenuto e soprattutto per l’epoca in cui è stato realizzato. I ricordi della Seconda Guerra Mondiale erano ancora vivi, le ferite le cicatrici facevano ancora più male di oggi. Per questo, quando nel marzo dell’anno scorso si è iniziato a parlare di remake la domanda, parafrasando Antonio Lubrano, come sarà? Sarà all’altezza dell’originale? E visto che nel 1981 i produttori ingaggiarono ‘O Rey’, sarebbe giusto scritturare ‘El Pibe de Oro’.