Luglio 2020

Film&Libri

LE ALI DELLA LIBERTA’

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Che vita sarebbe senza la speranza? Che vita sarebbe senza credere ed aggrapparsi a quel semplice ma forte pensiero quando il mondo ci crolla addosso e che, nonostante tutto, ti instilla la voglia di liberarsi da situazioni brutte?  Di certo bisognerebbe credere con tutte le nostre forze alla speranza per sentire il profumo di libertà dentro di noi. Filosofia di vita o aspetto puramente psicologico a parte, sta di fatto che il 23 settembre del 1994, per la regia di Frank Darabont, usciva nelle sale cinematografiche americane una delle migliori trasposizioni sul grande schermo mai realizzate dai romanzi di Stephen King: Le ali della libertà.

Tratto dal racconto ‘Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank’, compreso nella raccolta del 1982 ‘Stagioni diverse’, il film, con sceneggiatura dello stesso regista, ci invita a non perdere mai la speranza per nessuna ragione al mondo. Interpretato magistralmente da Tim Robbins e Morgan Freeman, ‘Le ali della libertà’, non è la classica storia misteriosa con il quale ‘Il Re del Brivido’ ci ha sempre abituati, e che ha anche sviluppato il soggetto, e nemmeno bisogna definire l’opera come il solito dramma carcerario ma come una semplice storia di vita dietro le sbarre.

L’unico alone di mistero, però, aleggia sul protagonista che non si sa se effettivamente risulti veramente colpevole per il reato al quale è stato condannato o, forse, è vittima di un clamoroso errore giudiziario. Le due ore e ventidue minuti tengono incollati fino alla fine, ci si affeziona ai personaggi addirittura e lascia ricco di animo e di speranza, appunto, fino ai titoli di coda.

Abbiamo affermato che questo è la miglior trasposizione sul grande schermo di un’opera letteraria di Stephen King. Oltre all’incasso dell’epoca, 28.341.499 milioni di dollari solo sul mercato statunitense, la prova del successo è anche nelle sette candidature alla Notte degli Oscar del 1995. Di certo si tratta di una storia totalmente differente a quelle che ci ha sempre abituato l’autore di romanzi come ‘It’, ‘Chstine – La macchina infernale’ e tanti altri; ma così si è riusciti a scoprire un lato dello scrittore ancora mai esplorato dai lettori.

“Le ali della libertà” è uno di quei film motivazionali che lasciano un segno, un messaggio e non solo diretto; è una storia di speranza, di libertà, e di amicizia, quella vera. Quella che non si trova tutti i giorni. Una storia sorprendente e che, nei momenti bui di ognuno di noi, deve essere vista e rivista per continuare a coltivare la speranza e la libertà.

Bud&Terence

Non c’è due senza quattro

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Dopo i quattro appuntamenti dedicati alla saga del Commissario Rizzo, finalmente si ricostituisce la coppia nel nostro blog. Il film scelto è uno degli ultimi che girarono insieme ed è quasi sicuramente, per non dire solo sicuramente, uno dei più divertenti. Era il 21 ottobre del 1984 quando Bud Spencer e Terence Hill osarono addirittura sdoppiarsi sul grande schermo facendo il verso ad un famoso detto popolare: non c’è due senza tre che divenne ‘Non c’è due senza quattro’.

La trama nella sua essenza è molto semplice: due uomini, un sassofonista galeotto ed uno stuntman, prendono il posto di due miliardari minacciati a morte da alcune persone misteriose. I due uomini sono sosia dei due miliardari, a sua volta, quindi, la trama oltre ad essere semplice è anche molto comica, con uno schema collaudato non tanto dal 1967, anno del loro primo ed iconico film, ma dal 1970 con il primo su ‘Trinità’.

Di certo il successo fu per l’ennesima volta assicurato più che con la sceneggiatura, con le divertentissime scazzottate e basate anche in alcuni momenti sulla commedia degli equivoci. Il film, con il tempo, è diventato anche un cult e venne girato quasi nella sua totalità a Rio De Janeiro. Per alcuni addetti ai lavori questa pellicola è quella più debole rispetto alle altre, con ulteriori ripetizioni di troppo legate ai soliti schemi proposti nel corso degli anni.

In realtà, ‘Non c’è due senza quattro’, è il lungometraggio numero 14 dei due e l’unica cosa che si nota è il fatto che gli anni incominciarono a passare anche per loro. Quasi sicuramente più per Bud che all’epoca viaggiava verso i 55 anni, mentre Terence sulle 45 primavere.

Comunque ‘Non c’è due senza quattro’ non il più debole degli altri, anzi, è un’autentica esplosione non solo di pugni e schiaffoni ma di gioia e di divertimento allo stato puro; con la classica e semplice missione di strappare più di una risata. La doppia coppia funziona grazie allo stravolgimento dei classici personaggi a cui siamo sempre stati abituati a vedere.

Lo script venne sviluppato, così come anche il soggetto, da Marco Tullio Barboni, figlio del regista Enzo Barboni meglio conosciuto come E. B. Clucher. Accanto a Bud e Terence, nel cast, troviamo attori come April Clough, Nello Pazzafini nel ruolo di ‘Tango’ e Harold Bergman.

Questo ennesimo successo spinse i produttori ad unire la coppia per altri due film. La prossima settimana, prima della pausa di Ferragosto, ancora un altro appuntamento con ‘Bud&Terence’. Per adesso godetevi questa divertentissima rissa e la mitica battuta di Terence Hill.

Sequels & Saghe

The Equalizer – Il vendicatore

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Diciamo la verità le saghe cinematografiche sono un po’ come le ‘serie tv’ sul grande schermo, solo che sono pochissimi i franchises che durano più di due o tre film. Altri giungono addirittura a quattro episodi, come abbiamo visto la settimana scorsa, altri ancora invece raggiungono un numero talmente elevato di ‘puntate’ di cui nel tempo si perde la memoria oltre che la qualità. Usare ‘le serie tv’ come forma di paragone ci permette anche di introdurre la nuova serie di appuntamenti della rubrica che a partire da oggi ci terranno compagnia fino alla prossima settimana; partendo da una domanda molto semplice: ma il franchise di ‘The Equalizer’ fino a che numero di episodio arriverà? Per il momento è ampiamente confermato la lavorazione del film numero tre di questa saga inaugurata nel 2014. E

Esattamente il 26 settembre del 2014. Quando nei cinema uscì il primo capitolo con il titolo ‘The Equalizer – Il vendicatore’. Ispirato all’omonima serie televisiva, andata in onda tra il 1985 ed il 1989 e conosciuta in Italia con il titolo ‘Un giustiziere a New York’, nel ruolo principale, che fu di Edward Woodward, troviamo un Denzel Washington in grande spolvero. Diretto dal regista Antoine Fuqua e scritto da Richard Wenk, il film si distacca leggermente dal triplice genere della serie tv: azione, spionaggio e poliziesco; per un perfetto ibrido di azione e thriller.

In questo primo episodio il protagonista, Robert McCall, ha finto di morire in una esplosione e si è ritirato a vita privata nella pacifica Boston, sotto falso nome, svolgendo la mansione di commesso in un grande magazzino. Non ha ancora, come nella serie tv, pubblicato un annuncio in cui si dichiara disponibile ad aiutare chiunque si trovi in difficoltà. La sceneggiatura, quindi, è un reboot sul grande schermo ed in grande stile, in cui Robert McCall si ritrova ad aiutare una giovane prostituta minacciata dall’intera mafia russa.

Il risultato è un mero intrattenimento da gustare dall’inizio alla fine. ‘The Equalizer’ in tutto il 2015 ha ottenuto diverse candidature come miglior thriller preferito dal pubblico al ‘People’s choice awards’, due candidature al Saturn Awards, sempre per il miglior thriller e come attrice emergente Chloe Grace Moretz, una candidatura al Black Reel Awards per Denzel Washington e ben tre candidature alla Naacp Image Award tra cui il premio alla miglior regia ad Antoine Fuqua.

Un primissimo episodio vincente e che non tradisce l’idea originale della trama; valorizzando oltremodo ancora di più il personaggio ancor di più il personaggio. Riuscendo nell’impresa di svecchiare un eroe anni ’80, forse troppo poco conosciuto per essere un’ulteriore icona di quel periodo, ed attualizzarlo ai giorni nostri. La prossima settimana il seguito.

Storie Vere

L’omaggio della tv a Rocco Chinnici

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Come ormai avete ben intuito in questi due mesi con la rubrica ‘Storie Vere’ vengono affrontati fatti o avvenimenti forti, tragici, storici, cruenti e amari. Anche in questo appuntamento si ritorna nella tanto affascinante isola siciliana con la sua tragica storia, in cui vengono narrati il coraggio e il doppio senso di giustizia e di Stato di uomini valorosi come quelli dell’Anti-mafia. Dopo il 23 maggio del 1992, con il quale abbiamo riavviato la rubrica, e il 19 luglio del 1992 ritorniamo indietro nel tempo di ben nove anni: il 29 luglio del 1983, quando venne barbaramente assassinato il Consigliere dell’Ufficio Istruzione Rocco Chinnici.

Alla sua figura, al suo impegno ed al suo sacrificio, non gli è stato dedicato un film direttamente sul grande schermo, né una miniserie e nemmeno una serie televisiva; ma un’opera sul piccolo schermo, andata in onda per la prima volta il 23 gennaio di due anni fa, intitolata: ‘Rocco Chinnici – E’ così lieve il tuo bacio sulla fronte’, a sua volta ispirato liberamente dal libro scritto dalla figlia del magistrato ucciso dalla mafia: Caterina Chinnici.

Ad interpretare il padre putativo del leggendario Pool Antimafia troviamo il bravissimo Sergio Castellitto, non nuovo a ruoli impegnativi. Già acclamato dalla critica e dal pubblico per le performance nei panni di ‘Enzo Ferrari’ e ‘Padre Pio’ nelle omonime fictions. A dirigere il film è il regista Michele Soavi e prodotto da Luca Barbareschi, mentre sia il soggetto che la sceneggiatura sono state realizzate da Franco Bernini e Maura Nuccettelli.

Il lungometraggio televisivo è un lungo ricordo suddiviso in vari momenti sparsi, ma con un filo logico, lineare che non crea confusione. Un ricordo vissuto attraverso la testimonianza e gli occhi della figlia Caterina, che come si vede nel film, anche nella realtà prenderà le orme del padre e che, inoltre, fa entrare quasi in punta di piedi lo spettatore nella vita professionale e privata di un personaggio storico senza alcuna esasperazione di sorta.

Quando il film per la tv venne annunciato, durante l’intervista di presentazione, l’attore Sergio Castellitto affermò che ‘molte volte, nel riportare in vita, questi carismatici ed iconici personaggi storici, si tiene solamente conto del ruolo che essi hanno, occupano e che rappresentano per la società; dimenticando l’uomo nella sua essenza. Rocco Chinnici, sempre l’attore romano, è l’amico, il padre, il giardiniere che si incontrano ogni giorno’.

Infatti questo lato, questa particolarità non solo non viene tralasciata dalla sceneggiatura, ma nemmeno tende a schiacciare il lato professionale: come le indagini e le minacce anonime che iniziavano ad assillarlo nell’ultima parte della sua vita. L’attentato del 1983 apre e chiude il film, ma non viene ripetuto per due volte; viene interrotto al momento dell’esplosione, rimanendo sospeso in quell’attimo terribile fuggente in cui c’è tutta una vita da ricordare, da contemplare per un esempio di senso civico che non verrà mai dimenticato.

Bud&TerenceSequels & Saghe

PIEDONE D’EGITTO

Piedone d'Egitto

E siamo giunti all’ultimo appuntamento con la saga del Commissario Rizzo, in arte Piedone. Il capitolo finale uscì nelle sale cinematografiche il 1° marzo del 1980, quarant’anni fa ormai. In quell’occasione Bud Spencer disse addio ad uno dei suoi personaggi più iconici. Con lui il sempre presente Enzo Cannavale e il bambino Bodo. Un quarto capitolo che sembra, nelle intenzioni, aggiustare ciò che era stato realizzato nel 1978; riuscendo nuovamente a miscelare impeccabilmente la doppia natura cinematografica: quella poliziesca e della commedia.

Diretto sempre da Steno e scritto da Massimo Franciosa, Adriano Bolzoni, anche come soggettista, e dallo stesso regista il film riesce ad allinearsi all’episodio del 1973 e raggiungere il livello dell’episodio del 1975. ‘Piedone D’Egitto’ rimane comunque un prodotto per famiglia, con una sceneggiatura più solida della precedente e meno ‘ingenua’. Le risse, elemento imprescindibile del cinema di Bud Spencer, sono finalmente adattate alla trama; tranne quella finale che è più improntata sulla leggerezza.

Anche in questo episodio bisogna ricordare la presenza di attori internazionali, come Robert Loggia e Karl-Otto Alberty. C’è persino il ritorno di Angelo Infanti in un altro ruolo e, come per Enzo Cannavale, nel cast si annovera l’attrice Ester Carloni, sempre presente in tutti e quattro gli episodi: Ester Carloni.

Cos’altro si potrebbe dire. Forse più nulla. In queste quattro settimane si è già detto molto, senza troppi trionfalismi e senza troppe bocciature. Il personaggio di ‘Piedone’ è uno di quelli che ti rimangono dentro. Schivo, introverso ma sempre dalla parte giusta: quella dei buoni e degli innocenti. Un po’ americano, nello stile, molto napoletano nel cuore, ma molto molto internazionale. Grazie alle sue indagini ci ha fatto conoscere posti in cui all’epoca i social erano solo un sogno.

Di certo una piccola classifica si deve pur stilare, non proprio ufficiale ma tanto per esporre idee che tranquillamente possono essere commentate nell’apposito spazio. Al primo posto è normale che ci sia ‘Piedone lo sbirro’; al secondo posto a sorpresa e aex-equo sia ‘Piedone a Hong Kong’ che ‘D’egitto’; al terzo posto, non inteso come podio questa volta, ‘Piedone l’africano’. Di sicuro questa saga non avrebbe avuto il valore che ha assunto nel tempo grazie all’esperienza di Steno e le musiche dei fratelli De Angelis.

Infine e curiosamente ‘Piedone’ non è solo un personaggio amato dai fans di Bud Spencer, ma lo era anche dallo stesso attore in persona. La prova è da ricercare non in questo film del 1980 ma in ‘Piedone l’africano’: quando gli chiedono ‘se lei è italiano?’ e lui risponde ‘No, napoletano’. Quasi sicuramente in quella risposta c’è tutto il pensiero non del Commissario Rizzo, ma di Carlo Pedersoli il quale lo ritroveremo la settimana prossima con un altro appuntamento e insieme al suo ‘partner’ di risse più famoso del mondo: Terence Hill.

Il film? Beh lo scoprirete la settimana prossima. E sempre dalla settimana prossima le due rubriche: ‘Bud&Terence’ e ‘Saghe&Sequels’ si divideranno. Anche in questo caso la prossima saga è un mistero.

News

TENET: Un altro inevitabile rinvio

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Inizialmente la data prevista era proprio lo scorso 17 luglio 2020. Causa pandemia, logicamente, l’uscita è stata posticipata il mese di agosto, il 12 agosto 2020 negli Stati Uniti e 26 agosto in Italia. Purtroppo, però l’aumento dei piccoli focolai nel nostro paese, e la situazione negli Usa ancora fuori controllo, ha provocato l’ennesimo rinvio, da parte dei distributori per ‘Tenet’. L’annuncio è arrivato direttamente, ieri sera, dallo stesso sceneggiatore, regista, produttore e indiscusso maestro del cinema contemporaneo: Christopher Nolan. Nonostante ciò la Warner Bros ha comunque placato gli animi asserendo che a breve verrà comunicata una nuova data.

Sulla nuova opera cinematografica tanto attesa dell’anno c’è, da tempo, un enorme alone di mistero. Un mistero alimentato Nolan. Si è vociferato, addirittura, che per mantenere il più stretto riserbo sulla trama, lo stesso regista, abbia fatto leggere solo le scene da recitare agli attori. Si potrebbe dire che mai un set cinematografico è risultato così blindato. Vorremmo tanto che quest’ennesimo pesante posticipo a data da destinarsi rappresentasse solamente una mera trovata pubblicitaria, ma non è così purtroppo.

Nel cast ci sono John David Washington, Robert Pattinson, Micheal Caine, Kenneth Branagh ed Aaron Taylor Johnson. Il genere oscilla tra l’action, la fantascienza ed il thriller. Eppure, alla base di tutto, ci sarebbe lo ‘spionaggio’ in base alle dichiarazioni del regista britannico. La durata, sempre in base a quanto è emerso fino adesso, sarebbe di 151 minuti; mentre la trama, ufficializzata in maniera scarna, parla di un agente di un’organizzazione governativa impegnato ad evitare la terza guerra mondiale.

Per il momento si sa solo questo, che non è poco, e non si vede l’ora di recarsi al più presto nelle sale cinematografiche per scoprire cosa in realtà ha potuto ideare, in questa occasione, il regista della trilogia de ‘Il Cavaliere oscuro’. con l’ulteriore speranza che la prossima data sia quella definitiva. Ovviamente, però, covid 19 permettendo. Frattanto le ultime notizie riportano che il film potrebbe essere oggetto di forte taglio al montaggio. Tranquilli, questo vale sono per il mercato cinese.

Storie Vere

Paolo Borsellino

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Fino adesso con la rubrica ‘Storie Vere’ abbiamo analizzato diverse opere visive, per la maggiora parte cinematografiche ed una sola serie televisiva. Ma una miniserie in due puntate che avesse la capacità di raccontare, miscelando linguaggio sia del grande che del piccolo schermo, una delle vicende più amare del nostro Paese il blog, nel suo piccolo, non l’aveva mai ancora affrontata.

Fino a qualche settimana fa regnava la più totale indecisione se trattare proprio questa versione oppure considerarne altre, forse più accurate su alcuni aspetti, ma meno convincenti dal punto di vista delle emozioni che ha lasciato allo spettatore. Merito, anche e soprattutto, ad una colonna sonora capace di accompagnare i momenti più tristi e di lasciarti un’amarezza nell’animo.

L’opera televisiva venne mandata in onda tra l’8 ed il 9 novembre del 2004 ed è dedicata alla figura del Giudice Istruttore antimafia Paolo Borsellino, assassinato da ‘cosa nostra’ il 19 luglio del 1992, ed interpretato in maniera impeccabile da Giorgio Tirabassi. Con lui anche i giovanissimi Elio Germano e Giulia Michelini, nella parte dei figli Manfredi e Lucia. Il cast è completato da Ennio Fantastichini, Giovanni Falcone; Ninni Bruschetta, Ninni Cassarà; Andrea Tidona, Rocco Chinnici; Pietro Biondi, Antonino Caponnetto; Daniela Giordano, Agnese Borsellino; Claudio Gioè, Antonio Ingroia; Nino D’Agata, Agostino Catalano; Santo Bellina, Giuseppe Montana; Luigi Maria Burruano nel ruolo di Tommaso Buscetta e Veronica D’agostino nel ruolo della figlia Fiammetta Borsellino.

Diretto da Gianluca Maria Tavarelli e prodotto dalla Taodue, questo film per la televisione ricostruisce, romanzando qualche punto, la vita professionale del Giudice Borsellino dal 3 maggio del 1980, giorno in cui venne ucciso il Capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, fino al tragico epilogo del 1992. La sceneggiatura, scritta a sei mani da Giancarlo De Cataldo, Leonardo Fasoli, Mimmo Rafele e con un soggetto realizzato da Pietro Valsecchi, pone maggiormente l’accento sul lato umano, ovvero quello privato, ricostruendo sì alcuni fatti relativi alle indagini, senza però approfondire le dinamiche.

In realtà è come se lo scopo fosse stato, fin dalla fase embrionale del progetto, un altro: ovvero quello di ricordare ed omaggiare senza innescare polemiche, anche aspre, su ciò che accadde in quegli anni e in via Mariano D’Amelio; omaggiare, dunque, la figura di un uomo, di un italiano che si era battuto contro un nemico che per “venti lunghi anni” era stato dichiarato inesistente.

Le performance degli attori sono molto convincenti ed alcune in particolar modo sono addirittura da Oscar; quella già citata di Tirabassi e quella di Giulia Michelini, la quale aveva esordito l’anno precedente nella serie punta di Canale 5 ‘Distretto di Polizia’.

È doveroso, comunque, annotare alcune imprecisazioni storiche: per esempio sono stati invertiti gli aspetti fisici dei due commissari Cassarà e Montana; l’agente di scorta Emanuela Loi nella realtà era castana e non aveva i capelli neri; quando fu ucciso il Commissario Montana non avvenne di giorno ma di notte ed era solo; il figlio di Paolo Borsellino nel 1980 aveva solo nove anni, invece viene rappresentato come un adulto e la figura del Giudice Istruttore Giuseppe Ayala non viene nemmeno menzionata in questa versione televisiva.

Licenze poetiche che non hanno il alcun caso rovinato il lavoro svolto o comunque l’idea di base. ‘Paolo Borsellino’, nella sua essenza, ci sembra non solo un omaggio all’uomo in quanto tale ed alla sua famiglia che ha dovuto convivere con una situazione che avrebbe fatto fuggire chiunque; ma molto probabilmente rappresenta un omaggio generale verso tutti quegli uomini che diedero la vita in modo eroico.

Non bisogna dimenticare, come specificato fin dall’inizio, anche le musiche. Ulteriore punto di forza della miniserie. Composta dal maestro Paolo Buonvino, la melodia al pianoforte, è di fatto la miglior colonna sonora mai realizzata su opere visive dedicate a questa storia.

Una fiction che semmai fosse stata realizzata per il cinema non avrebbe fallito l’obiettivo, anzi, avrebbe dato esaltato ancor di più la storia in sé e la figura eroica di Paolo e degli altri magistrati ricordati. E forse Paolo Buonvino avrebbe fatto incetta di premi per la colonna sonora.

Storie Vere

Good Morning, Viet-Nam

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Saigon, Vietnam del sud. Anno 1965. A tenere alto il morale delle truppe americane durante il conflitto, uno speaker radiofonico statunitense arriva direttamente dall’Isola di Creta. Lo speaker radiofonico non ci metterà molto ha mettersi nei guai con i suoi superiori. Questa dovrebbe essere, rigo meno o rigo più, il sunto della trama di un film che, badate bene, sembra totalmente inventata e studiata a tavolino ma, in realtà, è una delle tante ‘storie vere’ che si sono affacciate sul grande schermo nel corso di questi decenni.

Il reale protagonista di questa vicenda si chiamava Adrian Cronauer, aviere Adrian Cronauer, e nell’esordire ogni mattina con il suo programma era solito usare un’espressione alquanto bizzarra e che, in pochissimo tempo, divenne il suo marchio di fabbrica. Un’espressione che, ventidue anni più tardi, fu presa in prestito per dare titolo all’opera cinematografica dedicata a quella vicenda di cui era l’unico ed assoluto protagonista: Good Morning, Viet-Nam!

Uscito il 23 dicembre del 1987 negli Stati Uniti, diretto da Barry Levinson e scritto sia come soggetto che come sceneggiatura da Mitch Markovitz, l’idea di portare sul grande schermo la vicenda fu proprio dallo stesso Cronauer. All’inizio l’ex-aviere dell’aviazione degli Stati Uniti pensò di far conoscere la sua esperienza attraverso una situation comedy. Ma a quei tempi visto che la guerra del Viet-Nam era una ferita ancora aperta non fu possibile portare avanti il progetto.

Quando Markovitz realizzò la sceneggiatura il problema fu quello di trovare un attore capace d’interpretare questo particolare personaggio. Lo stesso script non presentava, in alcuni punti, battute scritte in maniera precisa; quindi voleva dire che chiunque avesse ottenuto il ruolo doveva, per forza di cose, improvvisare. E chi meglio dell’istrionico Robin Williams poteva farlo? Nessuno, a parte lo stesso attore di Chicago che alla sua prima vera occasione fece centro, entrando di diritto nell’olimpo dei grandi di Hollywood.

Le sue doti naturali d’improvvisatore erano talmente evidenti che sia il regista, sia lo sceneggiatore e sia lo stesso Cronauer gli lasciarono completamente carta bianca. Morale della favola: l’ex-interprete della serie cult anni ’70 e ’80, ‘Mork & Mindy’, sfiorò l’Oscar come miglior attore protagonista nel 1988, ma ottenendo il Golden Globe sempre nello stesso anno e sempre come miglior attore in un film commedia o musicale. Soffermandosi, però, su questo punto, e andando a ‘spulciare’ qualche sito di internet interamente dedicato al cinema, si scopre che i generi indicati del film sono: il drammatico, quello biografico e di ‘guerra’.

Nonostante il genere ‘commedia’ è ben presente all’interno del film non viene ugualmente indicato. Forse sarebbe più giusto indicare l’ironia e non la commedia. Ma l’ironia in sé, nella storia della settima arte, non ha mai rappresentato e non ha mai dato vita ad un genere a sé stante.

Il film funziona per diversi motivi e non solo grazie a quel fuoriclasse di Williams. Funziona anche grazie ad una sceneggiatura che sa unire diversi momenti: da quello spensierato a quello prettamente comico, dal drammatico al meramente riflessivo in maniera semplice e senza forzature. Uno sviluppo lineare, supportato anche e soprattutto da ottimi attori che ruotano intorno al personaggio principale: un giovanissimo Forest Whitaker, Bruno Kirby, J. T. Walsh, Robert Wuhl e Noble Willingham.

Ulteriore punto di forza, e non si può fare a meno di citarlo, è la musica presente nel film; per una colonna sonora evocativa non solo di un’annata americana ma di quell’epoca indimenticabile. Una colonna sonora non solamente è composta da varie hit di successo, ma anche dalle musiche composte da Alex Noth.

Si può sostenere che ‘Good Morning, Viet-Nam’ è sia un film drammatico, sia un film bellico, sia un film drammatico e indirettamente una commedia ed un film musicale, con un’ironia molto, ma molto pungente. Williams non salva nessuno di quel periodo: l’allora Presidente Johnson e sia il suo successore, Richard Nixon, Ho chi Mihn, il linguaggio swap. Lascia completamente il segno per un’operazione simile a quella che fece, molti anni addietro, Charlie Chaplin con ‘Il Grande Dittatore’ del 1940.

Il film mette in chiaro di come all’epoca anche chi stava nell’esercito, quindi non proprio contrario al conflitto, era comunque in disaccordo con l’utilizzo di alcuni metodi di fare. ‘Good Morning, Viet-Nam’, nelle quasi due ore di visione, ha il merito di far ridere, di far trascorrere il tempo a chiunque avesse voglia di vederlo e di far, allo stesso tempo, riflettere e commuovere facendoci scoprire, come principale scopo, questa incredibile storia vera di Adrian Cronauer e con la speranza, sbandierata alla fine del film, che tutti alla fine sarebbero potuti tornare a casa. Cosa che purtroppo non si avverò per molti.

Il vero Adrian Cronauer tornò a casa molto tempo che la guerra finisse. Divenne giornalista e addirittura avvocato e morì giusto due anni fa: il 18 luglio del 2018.

Bud&TerenceSequels & Saghe

PIEDONE L’AFRICANO

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Il 22 marzo del 1978 usciva nella sale cinematografiche italiane il terzo capitolo della saga del Commissario Rizzo, detto Piedone. Una terza indagine che lo porterà nuovamente fuori dai confini della città di Napoli, per smascherare un traffico di droga proveniente dal continente africano. A Johannesburg, per l’esattezza. Il titolo era ‘Piedone l’Africano’.

Un terzo episodio, rispetto al precedente, improntato maggiormente sulla commedia, sulle gags quasi tutte lasciate al grande Enzo Cannavale, ma con un elemento in più: quello del genere avventura. Già la scorsa settimana avevamo già trovato questo elemento che si faceva spazio tra i già citati e collaudati ‘poliziesco’ e ‘commedia’ fungendo da ‘terzo’ genere non dichiaratamente specificato.

È normale affermare che più si va avanti e più le idee rischiano di essere sterili o comunque di venir rimodellate attraverso ulteriori schemi, fermo restando che il connubio tra il poliziesco e la commedia, nei precedenti capitoli, è stato perfetto.

Diretto sempre da Steno, la sceneggiatura, questa volta poco convincente, non è stata più sviluppata da Lucio De Caro ma Ferruccio Verrucci, nonché soggettista, insieme a Giovanni Simonelli, Adriano Bolzoni e Rainer Brandt. Come per la seconda puntata, anche se non era stato precisato in precedenza, il terzo episodio rappresenta uno spot turistico non solo per il Sudafrica, ma per tutto il continente africano.

La presenza dell’allora piccolo protagonista Baldwin Dalkile, nel ruolo del pestifero ma simpaticissimo Bodo, tende a confermare la mossa vincente del secondo capitolo con la presenza, nel cast, del piccolo protagonista giapponese. Risultato? Un film più adatto alla famiglia, senza ridicolizzare gli elementi classici del poliziesco e con degli schemi narrativi diversi rispetto a quelli visti nel 1973 e nel 1975.

Normale comunque pensare che questi piccoli e significativi cambiamenti erano volti a rinnovare un ‘franchise’, anche se all’epoca non si usava nemmeno questa terminologia, per poterlo rendere ancora più appetibile per il pubblico in sala. Forte anche della caratura internazionale di Bud Spencer, era impensabile realizzare una terza avventura interamente sotto all’ombra del Vesuvio. Non è un caso che la rissa finale non si svolge fra i quartieri della città partenopea, ma bensì in Africa.

Come già anticipato accanto a Bud Spencer c’è sempre Enzo Cannavale, ma il cast era stato fortemente rinnovato per l’occasione. Si possono ricordare Antonio Alloca, il mitico prof. de ‘I ragazzi della terza C’, Joe Stewardson e Dagmar Lassander, quest’ultima vista in diverse commedie italiane. Presente anche Ester Carloni, ma questa volta la sua è solamente una comparsata nella scena iniziale dell’autobus. La colonna sonora è sempre firmata dai fratelli De Angelis, conosciuti come gli Oliver Onions, è impreziosita dal brano, che accompagna i titoli di coda: ‘Freedom’.

Una piccola curiosità: quando il film venne girato in Sudafrica vigeva, purtroppo, una rigida segregazione tra bianchi e neri. Un giorno, durante una pausa dalle riprese, la troupe decise di andare a mangiare in un ristorante. Quando si venne a sapere che un componente sarebbe dovuto rimanere fuori, Bud Spencer ed altri decisero di abbandonare il ristorante.

LA PROSSIMA SETTIMANA ULTIMO APPUNTAMENTO CON ‘PIEDONE’ MA NON CON LA RUBRICA ‘BUD&TERENCE’, CON L’ANNUNCIO DI UNA NUOVA SAGA DA RICORDARE E DA ANALIZZARE.

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PIEDONE A HONG KONG

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Secondo appuntamento con la rubrica ‘Bud&Terence’ e secondo appuntamento, a sua volta, anche con ‘Saghe&Sequels’ con la seconda indagine del Commissario Rizzo, meglio conosciuto come ‘Piedone’; una seconda indagine che travalica i confini campani e nazionali e che lo porta, addirittura, in Oriente ed esattamente a Hong Kong. È questo in sostanza il sunto della trama del sequel, uscito il 3 Febbraio del 1975, intitolato ‘Piedone a Hong Kong’.

Sempre diretto da Steno, mentre la figura del soggettista e quella della sceneggiatura viene unita dalla persona di Lucio De Caro. Sceneggiatore anche del primo capitolo, mentre il soggettista era Luciano Vincenzoni. Alle colonne sonore ritroviamo anche i fratelli De Angelis. Nonostante qualche defezione nel ‘dietro le quinte’ anche il cast si presenta abbastanza rinnovato e con uno schema di eventi legati alla trama che, nella sua essenza, ricalca se non completamente, quello visto in ‘Piedone lo Sbirro’.

Difatti le dinamiche, più o meno, sempre le stesse: Piedone è impegnato nel fermare il boss della droga di turno; quest’ultimo muore in circostanze misteriose e Piedone viene sospettato; inseguimento in mezzo alla città, questa volta nel cuore dell’ex colonia inglese, e rissa che, rispetto al primo film, non si svolge in una delle gallerie sotterranee della città, ma bensì in un vicolo in cui è stato organizzato un mercato rionale.

Le risse, appunto, sono l’elemento non marginale ed imprescindibile della storia ma perfettamente adattate alla trama stessa che, in questo secondo film, sconfinano di più nella goliardia, senza allontanarsi in alcun modo dalle ulteriori caratteristiche intrinseche del ‘poliziesco’. La sceneggiatura, dunque, è solida come la prima puntata cinematografica, ma più spensierata e più vicino al genere avventura. Merito, soprattutto, per la presenza dell’allora piccolo protagonista giapponese.

Il cast, come già precisato in precedenza, è stato ampliamente modificato. Ugualmente erano presenti attori come: Enzo Cannavale, Vincenzo Maggio ed Ester Carloni. Le new entry invece erano rappresentate dallo sfortunato attore italo-americano Al Lettieri, scomparso a causa di un infarto pochi mesi dopo l’uscita del film. Lo stesso Lettieri prese parte, nel 1972, al primo e storico capitolo de ‘Il Padrino’. Poi: Robbert Webber, Lino Puglisi e Renato Scarpa, il famoso ‘Robertino’ di ‘Ricomincio da tre’ di e con Massimo Troisi. Gli stuntman presenti nelle scene di lotta, in terra asiatica, erano gli stessi che avevano lavorato con Bruce Lee.

La decisione di portare Piedone al di fuori del proprio territorio, quasi sicuramente, deve essere visto come la volontà di identificarlo come un eroe, per l’epoca, in ambito internazionale. Una valorizzazione non di poco conto per un personaggio, cucito addosso a Bud Spencer, che lo porterà alla ricerca di trafficanti in droga di tutto il mondo ed innalzandolo, inevitabilmente, come simbolo positivo della città di Napoli.

LA PROSSIMA SETTIMANA: PIEDONE L’AFRICANO